SÖREN KIERKEGAARD
AUT-AUT
Estetica ed etica nella formazione della personalità.
Amico mio! Quello che ti ho già detto tante volte, te lo ripeto, anzi
te lo grido: o questo, o quello, "aut-aut!" L'importanza
dell'argomento giustifica l'uso delle parole. Vi sono circostanze in
cui sarebbe ridicolo e quasi pazzesco voler porre un aut-aut; ma vi
sono anche persone la cui anima è troppo dissoluta per cogliere il
significato di questo dilemma, alla cui personalità manca l'energia
per poter dire con pathos: o questo, o quello. Queste parole hanno
sempre fatto su me una profonda impressione, e ancora la fanno,
specialmente quando le pronuncio così, semplici e nude; in esse esiste
una possibilità di mettere in moto i contrasti più tremendi. Su di me
han l'effetto di una formula di scongiuro, e l'animo mio sprofonda
nella serietà, restandone a volte quasi sconvolto. Penso alla mia
prima gioventù, quando, senza ben afferrare il significato della
scelta nella vita, con infantile confidenza ascoltavo i discorsi dei più
anziani; e l'istante della scelta era per me solenne e venerabile,
benché nella scelta seguissi allora solo le istruzioni degli altri.
Penso a quegli istanti nella mia vita futura, in cui mi trovai al
bivio, in cui l'animo mio si maturò nell'ora della decisione. Penso a
tutti gli altri casi della vita, meno importanti, ma per me non
indifferenti, in cui dovevo scegliere; poiché, anche se è vero che
queste parole hanno una importanza assoluta solo nel caso in cui, da
una parte appare la verità, la giustizia, la santità, e dall'altra, il
piacere, le inclinazioni, le oscure passioni e la perdizione; anche in
casi in cui l'oggetto della scelta è per sé indifferente, è sempre
importante scegliere giusto, provare se stessi, perché un giorno, con
dolore, non si debba ricominciare dal punto di partenza, ringraziando
Dio se non ci si fa altro rimprovero che di aver perso del tempo. Nel
parlare quotidiano, uso queste parole come le usano gli altri, e
sarebbe una sciocca pedanteria astenersene; eppure mi accade a volte
di ricordarmi di averle usate per cose del tutto indifferenti. Esse
allora si spogliano del loro abito meschino, io dimentico i pensieri
insignificanti a cui si riferivano, e mi appaiono in tutta la loro
dignità, nei loro paramenti da festa. Come un personaggio autorevole,
nei giorni di lavoro, si mostra in abito civile e si perde tra la folla,
senza particolari distinzioni, così accade a quelle parole nel parlare
quotidiano; quando invece quel personaggio appare in tutta la sua
pompa, si distingue tra tutti; queste parole mi sembrano la
persona autorevole che sono solito vedere solo nelle grandi occasioni,
e il mio animo allora si atteggia sempre a serietà. E benché, a questo
punto della mia vita, io abbia già alle mie spalle il mio aut-aut,
pure so molto bene che potrò ancora incontrare molti casi in cui esso
riavrà il suo pieno valore. Pertanto spero che queste parole, quando
le troverò sul mio cammino, mi trovino in uno stato d'animo almeno
degno, e spero che sarò in grado di scegliere il giusto: in ogni caso
mi sforzerò di scegliere con serietà senza finzioni; così almeno oserò
consolarmi pensando che al più presto mi allontanerò dalla strada
falsa.
Ora so che tu usi abbastanza di frequente queste parole, che son quasi
diventate un motto per te; ma che significato hanno esse per te?
Nessuno. Ti ricorderò le tue espressioni preferite: un lampo, un gesto
fulmineo, un "coup de main", un abracadabra. In ogni occasione tu
sai come adoperarle, e non rimangono senza effetto; su di te hanno
infatti l'effetto che una bevanda forte ha su di una persona debole di
nervi; ti inebbri completamente di quel che tu stesso chiami la più
alta follia. «Vi è in sintesi tutta la saggezza della vita, ma nessuno
l'ha mai declamato con tanta energia, quasi fosse un Dio nelle vesti
di un poppante che parlasse all'umanità sofferente, come quel grande
pensatore e autentico saggio che disse ad un uomo che gli aveva
gettato il cappello per terra: se lo raccogli ti bastono, se non lo
raccogli ti bastono lo stesso, ora scegli.» La tua grande gioia è
quella di «consolare» gli uomini quando si rivolgono a te nei casi
critici; ascolti le loro spiegazioni e poi dici: sì, ora vedo
perfettamente che sono possibili due casi, si può fare o questo o
quello; il mio pensiero sincero ed il mio consiglio d'amico sono i
seguenti: se fai questo o se fai quello te ne pentirai in ogni caso.
Però chi schernisce gli altri schernisce se stesso; e non è per nulla
un caso insignificante, ma uno scherno profondo che cade su te, una
triste prova di quanto sia senza costrutto il tuo animo, il fatto che la
tua concezione di vita si concentri in una sola frase: «non dico altro
che aut-aut !». Se questo realmente fosse il tuo pensiero, non ci
sarebbe nulla da fare per te, l'unica cosa sarebbe di lasciarti
rimanere come sei e deplorare che la malinconia o la leggerezza
abbiano indebolito il tuo spirito. Ma siccome so molto bene che le
cose non stanno così, son tentato non a commiserarti, ma a desiderare
che le circostanze della tua vita possano un giorno afferrarti nelle
loro branchie e costringerti a spremere quanto v'è in te, e che
cominci quel severo esame che non si accontenta di chiacchiere e di
battute di spirito. La vita è una mascherata, tu dici, e questo per te è
fonte inesauribile di divertimento, e sei così abile che ancora non è
riuscito a nessuno di smascherarti: poiché ogni manifestazione tua è
sempre un inganno; solo in questo modo tu puoi respirare e far sì che
la gente non si serri intorno a te e ostacoli la tua respirazione. In
questo sta la tua attività, nel mantenere il tuo nascondiglio, e
questo ti riesce, perché la tua maschera è la più misteriosa di tutte;
infatti non sei nulla, e sei sempre soltanto in relazione agli altri, e ciò
che tu sei, lo sei per questa relazione. All'amorosa pastorella porgi
languido la mano, e nello stesso istante ti mascheri in un pastore
sentimentale; un venerando padre della chiesa lo tradisci con un
bacio fraterno, eccetera. Tu stesso non sei nulla, una figura
misteriosa, sulla cui fronte sta scritto: aut-aut; «poiché questo è il
mio motto, e queste parole non sono, come credono i grammatici,
congiunzioni disgiuntive, no, esse si appartengono indissolubilmente,
e perciò vanno scritte in una parola sola, poiché nell'unione
compongono una interiezione che io grido all'umanità come si grida
hep dietro agli ebrei». Benché ogni tua tirata di questo genere non
faccia alcun effetto su di me - e se l'avesse sarebbe al massimo
quello di suscitare una giusta indignazione - pure, per amor tuo,
voglio rispondere: non sai che giungerà l'ora della mezzanotte in cui
ognuno dovrà smascherarsi? Credi che si possa sempre scherzare
con la vita? Credi che si possa di nascosto sgaiattolar via un po'
prima della mezzanotte per sfuggirla? Non inorridisci a questo
pensiero? Nella vita ho visto persone che tradirono tanto a lungo
gli altri che alla fine il loro vero essere non poteva più
manifestarsi; ho visto persone, che per tanto tempo giocarono a
nascondersi, che alla fine in essi la pazzia ributtantemente
mostrava agli altri quei segreti pensieri che essi, fino ad allora,
avevano orgogliosamente tenuti celati. O puoi pensare qualche
cosa di più terribile di ciò, che alla fine il tuo essere si disfi in una
molteplicità, che tu veramente divenga più esseri, divenga una
legione come gli infelici esseri demoniaci, e che così tu perda ciò
che è più intimo, più sacro nell'uomo, il potere che lega insieme
la personalità? In verità non dovresti scherzare su questo argomento,
che non solo è molto serio, ma terribile. In ogni uomo vi son degli
ostacoli che, in un certo senso, non gli permettono di diventare
completamente trasparente a se stesso; la cosa può raggiunger tali
proporzioni, egli può, a sua insaputa, venir talmente coinvolto in
circostanze di vita che stanno al di fuori di lui, che egli perde la
capacità di manifestarsi; ma chi non si può manifestare non può
amare, e chi non può amare è l'essere più infelice. E tu, per
divertimento, ti eserciti nell'arte di diventare misterioso per tutti.
Mio giovane amico, pensa, se non ci fosse nessuno che si
interessasse di indovinare il tuo mistero, che piacere ne avresti? Ma
sopratutto per te stesso, per la tua salvezza, - poiché io non conosco
nessuno stato d'animo che possa meglio essere specificato come
perdizione - ferma questa pazza fuga, questa passione
d'annientamento che infuria in te, perché è questo quello che tu vuoi,
vuoi annientare tutto, vuoi saziare la fame del dubbio che è in te a
prezzo dell'esistenza. È a questo che ti prepari, è per questo che
indurisci il tuo spirito; poiché lo ammetti anche tu, non sei capace di
nulla, solo questo ti fa piacere, girare sette volte intorno
all'esistenza e soffiare le trombe, e poi lasciar che tutto finisca.
Se ti trovi di fronte al nulla, la tua anima si acquieta; anzi, essa
può divenir malinconica, se dal nulla ti viene incontro musicalmente
l'eco della tua passione, poiché l'eco risuona solo nel vuoto.
Pure, per questa strada non credo che riuscirò ad andare avanti con
te. Inoltre la mia testa, se vuoi, è troppo debole per poter
sopportare, o come penso io, troppo forte per provare piacere nel
sentire continuamente le vertigini. Perciò voglio prender la questione
da un'altra parte. Immagina un giovane, proprio nell'età in cui la
vita comincia ad avere significato per lui: sano, puro, contento,
intelligente, ricco di speranze; e la speranza di tutti quelli che lo
conoscono: immagina ora, è duro per me dovertelo dire, che egli
s'inganni sul tuo conto, che creda che tu sia un uomo serio, provato,
esperto del mondo, dal quale ritiene di poter andare fiducioso a
cercare schiarimenti sui problemi della vita; immagina che si rivolga
a te con quella fiducia amabile che è l'ornamento della gioventù, con
la pretesa imperiosa che è il diritto della gioventù - che gli
risponderesti? Gli risponderesti tu: io dico solo aut-aut, spero che
non ne avresti il coraggio! Vorresti, come usi esprimerti quando vuoi
significare la tua avversione per gli altri che ti annoiano coi loro
affari di cuore, cacciar la testa fuori dalla finestra per dire: avete
sbagliato indirizzo, o lo tratteresti come hai trattato altri, che
hanno voluto o consigliarsi con te o cercar presso di te degli
schiarimenti, che hai rimandati come coloro che chiedono del denaro
per le chiese dicendo che sei solo un fittavolo nella vita, non un
possidente e un padre di famiglia? Credo che non lo faresti. Un
giovane, spiritualmente dotato, tu lo apprezzi troppo. Ma la tua
relazione con lui non era proprio quale tu di solito la desideravi,
non era un incontro casuale che ti aveva messo in contatto con lui, la
tua ironia non era stata tentata. Benché egli fosse il giovane e tu
l'anziano, ciononostante egli, colla sua nobile gioventù, aveva reso
solenne il momento. Tu stesso diventeresti giovane, sentiresti che vi
è qualche cosa di bello nell'essere giovane, ma anche qualche cosa di
assai serio, che non è affatto una cosa senza importanza il modo in
cui si adopera la propria gioventù, e che vi è una scelta per tutti, un
reale aut-aut. Sentiresti che quello che veramente importa non è
tanto formare il proprio spirito, quanto maturare la propria
personalità. La tua bonomia, la tua simpatia si metterebbero in moto,
attraverso ad esse vorresti parlare con lui, rafforzare la sua anima,
rafforzare in lui la fiducia nel mondo, vorresti assicurarlo che
nell'uomo esiste un potere che può affrontare tutto il mondo, gli
vorresti imprimere tenacemente nella testa di adoperare bene il tempo.
Tutto questo lo puoi fare, e se vuoi, lo puoi fare in modo
incantevole. Ma ora sta bene attento a quello che ti voglio dire,
giovanotto; benché tu non sia giovane si è costretti a chiamarti così;
cosa avresti fatto in questo momento ? Avresti riconosciuto quello che
di solito non vuoi riconoscere, l'importanza di un aut-aut. E perché?
Perché il tuo animo era commosso d'amore per questo giovane.
Eppure, in un certo senso, lo tradiresti, perché forse, se ti
incontrasse in altre occasioni, non saresti affatto disposto a
riconoscere tutto ciò.
Qui vedi una delle tristi conseguenze che si verificano quando
l'essere di un uomo non si manifesta armoniosamente. Credevi di agire
per il meglio, eppure, forse gli hai fatto del male; forse sarebbe
stato meglio per lui dover affrontare la tua sfiducia nella vita
piuttosto che adagiarsi nella fiducia soggettiva ed ingannevole che
gli trasmettesti. Immagina di incontrare di nuovo questo giovane dopo
qualche anno; egli è vivace, spiritoso, intelligente, ardimentoso nei
suoi pensieri, risoluto nel parlare, ma per il tuo fine orecchio è
facile scoprire il dubbio nel suo animo; sospetti che anche per lui,
giunto ad una ambigua saggezza, si sia smarrito il senso
dell'alternativa. Ti rattristeresti, nevvero, per lui? Sentiresti che ha
perso qualche cosa, e qualche cosa di assai essenziale? Ma di te
stesso non ti vuoi rattristare, sei soddisfatto, anzi orgoglioso della tua
ambigua saggezza, tanto orgoglioso di essa che non vuoi permettere
ad altri di condividerla con te, poiché vuoi essere il solo a
possederla. Eppure, in un altro senso, trovi che sia deplorevole, e
sei sincero dicendo che è deplorevole che quel giovane sia arrivato
alla stessa saggezza. Che enorme contraddizione! Tutto il tuo essere
si contraddice. Ma da questa contraddizione puoi uscire solo con un
aut-aut. E io che amo te più sinceramente di quel che tu amassi quel
giovane, io che nella mia vita ho esperimentato l'importanza della
scelta, mi congratulo con te perché sei tanto giovane che, anche se
hai certo perso qualche cosa, ugualmente, se avrai o piuttosto se
vorrai avere l'energia necessaria, puoi vincere, il che è la cosa
principale nella vita, puoi vincere te stesso, conquistare te stesso.
Se un uomo potesse mantenersi sempre sul culmine dell'attimo
della scelta, se potesse cessare di essere un uomo, se nel suo essere
più profondo fosse solo un aereo pensiero, se la personalità non
avesse altra importanza che quella di essere un nanetto che prende
sì parte ai movimenti, ma rimane sempre lo stesso, se fosse così,
sarebbe una stoltezza dire che per un uomo può essere troppo tardi
per scegliere perché, nel senso più profondo, non si potrebbe parlare
di una scelta.
La scelta stessa è decisiva per il contenuto della personalità; colla
scelta essa sprofonda nella cosa scelta, e quando non sceglie,
appassisce in consunzione. Per un attimo è o può parere, che si scelga
tra possibilità estranee a chi sceglie, colle quali egli non sta in
nessun rapporto e verso le quali si può mantenere in istato di
indifferenza. Questo è il momento della riflessione. Ma, esso non è
affatto come l'attimo platonico; e men che mai nel senso astratto nel
quale tu lo vuoi fissare; e quanto più tu lo fissi tanto meno è. Ciò
che deve essere scelto sta nel più profondo rapporto con chi sceglie,
e quando si parla di scelta che riguardi una questione di vita,
l'individuo in quel medesimo tempo deve vivere, e ne segue che è
facile, quanto più rimandi la scelta, di alterarla, nonostante che
continui a riflettere e riflettere, e con ciò creda di tenere i
contrasti della scelta ben distinti gli uni dagli altri. Quando si
considera l'aut-aut della vita in questo modo, non è facile che si sia
indotti a scherzare con esso. Si vede allora che l'impulso interiore
della personalità non ha tempo per gli esperimenti spirituali. Esso
corre costantemente in avanti e pone ora in un modo ora nell'altro i
termini della scelta, sì che la scelta nell'attimo seguente diventa più
difficile; poiché quello che è stato supposto deve essere
richiamato. Immagina un capitano sulla sua nave nel momento in cui
deve dar battaglia; forse egli potrà dire, bisogna fare questo o
quello; ma se non è un capitano mediocre, nello stesso tempo si
renderà conto che la nave, mentre egli non ha ancora deciso avanza
colla solita velocità, e che così è solo un istante quello in cui sia
indifferente se egli faccia questo o quello. Così anche l'uomo, se
dimentica di calcolare questa velocità, alla fine giunge un momento in
cui non ha più la libertà della scelta, non perché ha scelto, ma
perché non l'ha fatto, il che si può anche esprimere così: perché gli
altri hanno scelto per lui, perché ha perso se stesso.
Da quanto ho detto fin qui vedrai anche come il mio modo di
considerare la scelta sia profondamente diverso dal tuo, se nel tuo
caso ancora si può parlare di scelta; perché la tua concezione è
diversa proprio per il fatto che impedisce una scelta. Il momento
della scelta per me è assai serio non tanto a causa della severa
riflessione sulle varie e distinte possibilità, e neppure a causa della
molteplicità di pensieri che sono inerenti ad ogni valutazione, ma
perché vi è pericolo che nel momento seguente io non sia più così
libero di scegliere, che già abbia vissuto qualche cosa che debbo
nuovamente rivivere. Poiché quando si crede che per qualche istante si
possa mantenere la propria personalità tersa e nuda, o che, nel senso
più stretto, si possa fermare o interrompere la vita personale, si è in
errore. La personalità, già prima di scegliere è interessata alla scelta,
e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie
incoscientemente, e decidono in essa le oscure potenze. Quando
finalmente si ha scelto, se la personalità non si è, come notai prima,
completamente volatilizzata, ci si accorge che vi è qualche cosa che
deve esser rifatto, che deve esser fatto ritornare, e questo spesso è
assai difficile. Nelle favole si parla di persone che le sirene o i
tritoni attiravano in loro potere colla loro musica demoniaca. Le
favole spiegano che per sciogliere l'incanto, era necessario che la
persona incantata suonasse la stessa musica cominciando dalla fine,
senza sbagliare nemmeno una volta. Questo è un pensiero molto
profondo, ma è cosa difficilissima da eseguire, eppure è così. Ciò che
di falso abbiamo in noi, lo dobbiamo estirpare in questo modo, ed ogni
volta che sbagliamo, dobbiamo ricominciare da capo. Vedi dunque che
è importante scegliere, e scegliere in tempo. Tu invece hai un altro
metodo: perché so bene che la maschera polemica che rivolgi al
mondo non è il tuo vero essere. Se il compito della vita umana fosse
quello di riflettere, tu saresti vicino alla perfezione. Mi spiegherò
con un esempio. Dovrò scegliere naturalmente dei contrasti decisi
perché si adattino a te: ad esempio, o prete, o attore. Qui sta il
dilemma.
Tutta la tua appassionata energia si risveglia; la tua riflessione
afferra colle sue cento braccia il pensiero d'essere prete. Non trovi
più riposo, giorno e notte ci pensi; leggi tutti gli scritti che sei in
grado di procurarti, ogni domenica vai in chiesa tre volte, fai
amicizia coi preti, anche tu scrivi delle prediche, le ripeti tra di te,
per sei mesi ti segreghi dal resto del mondo. Poi hai finito: puoi
parlare del mestiere del prete con più competenza, e, apparentemente,
con più esperienza di molti che lo sono stati per vent'anni. Essi
destano la tua indignazione se ti trovi con alcuni di loro che non
sanno esprimersi con eloquenza superiore alla tua; ci deve essere
entusiasmo, dici, io che non sono prete, che non vi ho dedicato la
vita, parlo con voce d'angelo in confronto a loro. Questo è forse
anche vero, ma però tu non ti sei fatto prete. Poi ti comporti nello
stesso modo coll'altro problema, ed il tuo entusiasmo per l'arte
supera quasi la tua eloquenza ecclesiastica. Ora sei pronto per
scegliere. Però si può esser certi che nell'enorme esercizio di
pensiero nel quale hai vissuto, hai fatto molte esperienze, molte
piccole osservazioni e riflessioni. Nel momento in cui stai per
scegliere, queste scorie prendono vita e movimento, appare una nuova
alternativa: potresti diventare anche giurista, forse avvocato,
mestiere che ha qualche cosa in comune col pastore d'anime e
coll'attore. Ed ora sei perso. Subito, nello stesso istante, infatti, sei
avvocato abbastanza da saperti imporre come obbligo di considerare
anche la terza possibilità. E così disperdi la tua vita. Dopo aver
perduto un anno e mezzo in queste riflessioni, dopo aver teso tutte le
forze del tuo animo con ammirevole energia, non sei andato avanti di
un passo. Poi si spezza il filo del pensiero, diventi impaziente,
appassionato, sgridi e ti accendi e arrivi all'ultimatum: «o
parrucchiere o contabile in una banca, io non dico che aut-aut». C'è
dunque da meravigliarsi se per te questa parola è diventata causa
d'indignazione e follia, «terribile come le braccia di quella vergine il
cui amplesso era mortale?». Ignori gli uomini, li schernisci e sei
diventato ciò che tu disprezzi più di ogni altra cosa, un critico, un
critico universale, di tutto. A volte non posso fare a meno di
sorridere di te, eppure è triste che le tue facoltà spirituali, in verità
ottime, siano così buttate al vento. Anche qui nel tuo essere v'è di
nuovo la stessa contraddizione; tu vedi molto bene il ridicolo della
tua esistenza: e Dio salvi chi cade nelle tue mani, quando si trovi
nelle tue condizioni; eppure la differenza è solo questa, che la sua
vita s'incurva e si spezza, mentre tu invece diventi leggero,
superbo e più giulivo che mai, e rallegri te stesso e gli altri con
questo evangelo: "vanitas, vanitatum vanitas, juchhe!" Ma questa non è
una scelta, è quello che da noi si chiama: lasciarsi andare; o una
mediazione come quella di far che cinque sia pari. Ora ti senti
libero, dici addio al mondo "So zieh ich hin in alle Ferne, Ueber
meiner Mütze nur die Sterne" [Così me ne vado lontano lontano, e
sopra il mio berretto ci son solo le stelle].
Ecco hai scelto così, non certo, lo ammetterai anche tu, la parte
migliore; effettivamente non hai scelto affatto, o hai scelto in senso
non effettivo. La tua scelta è una scelta estetica; ma una scelta
estetica non è una scelta. Scegliere è sopratutto una espressione
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